Come sviluppare il collodio umido e i bagni di fissaggio e lavaggio della lastra fotografica.
Ci siamo lasciati con la lastra collodiata ed argentata che viene messa in macchina per scattare la foto. Adesso impariamo a sviluppare il collodio umido. Scopriamo cosa succede durante la fase di esposizione e quali sono i passaggi successivi per arrivare alla foto finita.
La lastra è in macchina e adesso scattiamo la foto. L’otturatore si apre, la luce passa attraverso l’obiettivo e colpisce il collodio umido sulla lastra.
Cosa succede sul collodio umido durante l’esposizione? La formazione dell’immagine latente.
La luce che attraversa l’obiettivo e colpisce i composti alogeni dell’argento eccita l’alogeno (che è l’elettrone). Questo elettrone così eccitato salta su un’orbita atomica esterna, più lontana dalla sua posizione originale.
In questa fase si parla di immagine latente, perché l’immagine è stata registrata dalla chimica, ma ancora non la possiamo vedere, perché la modificazione è ad un livello atomico che non comprende la modifica visibile della materia. L’immagine non si vede ancora.
Questo elettrone allontanato dal suo nucleo d’argento va aiutato a staccarsi completamente per permettere all’ossigeno di prendere il suo posto e formare ossido d’argento. Così l’immagine si trasformerà in nero metallico visibile, che tanto adoriamo noi fotografi.
Come sviluppare il collodio umido: rivelare l’immagine latente
Sviluppare il collodio umido significa rivelare l’immagine latente registrata sulla lastra durante l’esposizione. Questo può avvenire grazie ad una soluzione ossidante, cioè in grado di staccare un elettrone e cedere ossigeno. Queste soluzioni sono chiamate rivelatori o sviluppi. Rivelano l’immagine latente, altrimenti invisibile.
Ne esistono a centinaia, con le sostanze chimiche più disparate. Nella tecnica del collodio umido si usano comunemente una soluzione acquosa di sale ferroso oppure una soluzione acquosa di pirogallolo. Con questi sviluppi, l’argento si ossida e l’immagine viene fuori, nera, con riflessi metallici, come negli ambrotipi e ferrotipi.
Lo sviluppo del collodio con il solfato ferroso
Lo sviluppo più comune è una soluzione acquosa di solfato ferroso al 4%, che viene addizionato con una certa percentuale di acido acetico e alcol etilico. L’acido acetico serve a contenerne l’azione, altrimenti troppo violenta. L’alcol serve a rendere la soluzione più prona ad essere assorbita dal collodio che non sarebbe immediatamente permeabile alle soluzioni acquose.
Lo sviluppo zuccherato
La percentuale di sale ferroso può variare, come ad esempio 3% nel caso di sviluppi per ambrotipi, che richiedono meno annerimento. In estate si aggiunge zucchero alla soluzione di solfato ferroso al 4% per i ferrotipi, per rallentarne l’azione che aumenta col caldo.
Lo zucchero è inerte sul collodio. Non fa altro che andare ad occupare spazio nella soluzione, che altrimenti sarebbe occupato interamente dal sale ferroso. Così facendo si diminuisce la quantità di sale che va a contatto con il collodio. È come fare uno sviluppo con meno sale ferroso, come ad esempio 3,5% oppure 3% o anche meno. Stesso risultato, solo che è più facile da controllare perché si può vedere quanto zucchero rallenti l’azione sviluppante ed eventualmente aggiungerne ancora.
Stop e fissaggio
Sviluppare il collodio con il solfato ferroso è un’operazione veramente rapida. Si parla di secondi. 10-15 sono una buona base di partenza in estate. 30 o 40 in inverno, a seconda del risultato che si vuole ottenere. Vista la velocità di sviluppo, è necessario bloccarne l’azione quando si è raggiunto il tempo desiderato.
Stop
Lo stop dello sviluppo si fa con acqua semplice. La lastra va lavata. Per questo si tiene una piccola caraffa a portata di mano e si comincia a versare vigorosamente appena lo sviluppo è terminato. Se avete un rubinetto in camera oscura, potete usare quello.
Il solfato ferroso se ne va subito, non è necessario un lavaggio prolungato. Mezzo litro d’acqua è sufficiente a lavare una lastra di 24×30 cm.
A questo punto la lastra potrebbe essere anche esposta alla luce, ma evitate di esporla direttamente al sole di mezzogiorno! Quando sono sul campo con la camera oscura portatile mi preoccupo di far uscire la lastra dalla parte della penombra. Poi la immergo nel bagno di fissaggio. Non si sa mai che abbia lavato poco la lastra…
Fissaggio
Il fissaggio una volta era una soluzione di cianuro di potassio al 2%, molto rapida e facile da lavare, ma pericolosissima per le ovvie complicazioni che ne possono derivare. Se avete un taglietto sulla pelle, vi avvelenate subito. Era tuttavia un fissaggio molto comune nell’800.
Più pratico e assolutamente sicuro è il fissaggio all’iposolfito di sodio. Consiglio di prepararlo al 10% anche se alcuni lo usano al 20%. Troppo rapido rischia di intaccare l’immagine, specie se la lastra rimane li dentro troppo a lungo. È in assoluto il più economico perché si può acquistare in cristalli e prepararsi la propria soluzione a casa.
Il fissaggio più rapido che abbiamo in fotografia è quello all’iposolfito di ammonio. Oggi è il fissaggio normalmente venduto da tutti. È addizionato di acido acetico, da cui il forte odore pungente e viene venduto in soluzione concentrata pronta per la diluizione. Se volete usare l’ammonio, consiglio una diluizione 1+9 che sarà sufficientemente lenta per gli stessi scopi sopra descritti. Non vedo ragione per un fissaggio rapido col collodio ma ognuno è libero di fare come crede. In nessun caso consiglio di superare la diluizione di 1+6.
Lavaggio
Come tutte le fotografie tradizionali, le carte fotografiche e le pellicole, dopo il fissaggio deve seguire il lavaggio, per eliminarne ogni traccia.
Il solfito di sodio come aiuto al lavaggio
L’acqua da sola, tuttavia, non è sufficiente ad eliminare i sottoprodotti del fissaggio che sono molecole complesse e insolubili. Bisogna usare un bagno intermedio di solfito di sodio, che è anche chiamato Wash Aid, chiarificatore dell’iposolfito, aiuto lavaggio, ecc…
Il solfito di sodio è il comune agente conservante usato nell’industria alimentare, come nei vini, nel cibo in scatola, ecc… È molto economico da acquistare. Va preparate una soluzione al 10% e qui immersa la lastra che ha finito il fissaggio. Non è necessario un lavaggio intermedio.
I cinque cambi d’acqua
Dopo il bagno di solfito si può procedere a lavare la lastra come da manuale. Questo consiste in almeno 10 minuti di acqua corrente oppure almeno 5 cambi d’acqua totali dove ogni bagno rimane per almeno un minuto con agitazione intermittente.
La tecnica dei 5 cambi d’acqua fu introdotta da Ilford molti anni fa ed è considerata una procedura di lavaggio d’archivio. Ho intenzione di scrivere un articolo apposta sul lavaggio perché ci sono in giro miti da sfatare e procedure ritenute sicure che invece portano a danni permanenti, specialmente delle carte baritate. Sicuramente quella dei 5 cambi è una tecnica che permette di risparmiare tonnellate d’acqua in camera oscura.
Se la nostra lastra è un ferrotipo, abbiamo finito. La mettiamo ad asciugare sulla rastrelliera prima della verniciatura finale.
L’imbibente per il vetro
Se la lastra è un ambrotipo bisogna fare un bagno di imbibente, per eliminare il rischio di macchie d’acqua dovute all’asciugatura.
L’imbibente si prepara al momento dell’uso, versando poche gocce di soluzione concentrata nella bacinella e agitando per qualche secondo la lastra. Non serve che ci stia a lungo. Lo speciale sapone dell’imbibente deve soltanto rompere la tensione superficiale dell’acqua. La successiva asciugatura sarà uniforme, senza macchie di calcare sul vetro.
Nel prossimo capitolo vedremo come si protegge la lastra finita, con la verniciatura finale a sandracca, gommalacca o resine acriliche.
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