I was first contacted for this project by Leonardo Magnani, President of the no-profit Associatzione Cultura della Pace di Sansepolcro (Association Culture of Peace of Sansepolcro). He told me: ‘The Albanian student society of the University of Pisa is trying to organise an exhibition on Kosovo.’ – ‘Please, not on Kosovo’ – I thought to myself. The idea of developing an exhibition on Kosovo scared me, for it was cancelled twice in the past and I did not want history to repeat itself.
The first time it was cancelled it happened in 1999, when a major photo exhibit about the Kosovo war was set to open to the public a the Royal Palace of Milan. The photographs of Livio Senigalliesi were to be displayed. A few weeks before the opening, the curators discovered my work and decided to put the show on hold. They contacted me and told me that there could not be an exhibition about Kosovo without my photos that, according to them, captured a new and never-before-seen side of the conflict. I was thrilled by it; I printed my photographs and sent them to Milan. Livio got offended. He did not want to showcase his work alongside that of another photographer; as a result, the show was shut down.
Unfortunately, this happened again in Florence, when I was asked to display my images at the Art Hotel of Via Ghibellina. Even though the show organiser gave her approval, the hotel management decided against displaying ‘politically motivated’ war images and cancelled the exhibition the day before its opening.
Since troubles always come in threes, the Kosovo exhibit, strictly speaking, was cancelled a third time. As a matter of fact, the Milosao student group that was in charge of the organisation of the 2015 gallery at the University of Pisa, was not interested in an exhibition focusing exclusively on Kosovo, but wanted to include a wider range of countries, from Albania to Syria.
Albertina Mustafa, the project curator, experienced the Kosovo war firsthand. She really wanted to feature all my war photographs taken in three theatres of war across two decades. Because, even though they were taken in different countries at different times, they show the same issues and war dynamics. Street shootings, city bombings, civilians fleeing, seeking refuge in shelters and later migrating to rich countries that, best case scenario, did not take a stand on the conflict or worse, took part in the military action. It does not matter whether those images were captured in Albania, Kosovo or Syria. The causes, the strategies and the results of wars are all the same.
So, I accepted the challenge…
In this project, which I called ‘Goodbye sweet home’, I have compared the aftermath of the Albanian 1997 financial crisis, the Kosovo Repression and 1998-1999 war to the repression of the Arab Spring protesters in Syria by the Bashar al-Assad regime, which is still ravaging the country.
It is sad to realise that the reasons behind the migration of war refugees are always the same and that we have not been able to learn from history. First World countries are making the same mistakes they made twenty years ago in dealing with the current crisis. We analyse the migrant crisis in terms of numbers and statistics, as if it were a mere and inevitable by-product of war. With nothing to lose, no home, no job, no country to return to, people are willing to risk everything to flee armed conflicts. There are no winners in wars. No prizes are awarded. The consequences of war affect each and everyone, even those who have remained passive onlookers.
This is ‘Goodbye sweet home – fleeing from the wars of Albania, Kosovo and Syria’, a new featured project which was exhibited for the first time at the Gipsoteque of Ancient Art of the University of Pisa on November 28th 2015.
Prints are available for sale. Send an email to ask for a quotation.
Goodbye Sweet Home – In fuga dalle guerre d’Albania, Kosovo e Siria
Il primo contatto per questo progetto di mostra mi arrivò per tramite di Leonardo Magnani, presidente dell’associazione Cultura della Pace di Sansepolcro. “Il gruppo studentesco albanese dell’università di Pisa ti sta cercando per fare una mostra sul Kosovo”. “Proprio sul Kosovo”, pensai fra me. L’idea di preparare di nuovo una mostra sul Kosovo mi spaventava. Mi era già saltata due volte e mancava solo la terza.
La prima volta fu nel 1999, quando a Palazzo Reale a Milano si stava preparando una grande mostra sulla guerra in atto. Le opere previste da mettere in mostra erano quelle di Livio Senigalliesi. Gli organizzatori della mostra arrivarono a conoscenza del mio lavoro pochissime settimane prima dell’apertura prevista e bloccarono tutto. Mi contattarono e mi dissero che non si poteva fare una mostra sul Kosovo senza le mie foto, che, a loro dire, rappresentavano una parte importante di quello che non si era ancora visto su questa guerra. Ne fui felicissimo, stampai le foto e le mandai a Milano. Livio se la prese. Non voleva esporre insieme ad un altro, e fece saltare tutto.
La seconda volta fu a Firenze, in occasione di un invito ad esporre all’Art Hotel di Via Ghibellina. Dopo aver ottenuto il beneplacito dell’organizzatrice, la direzione non se la sentì di esporre foto di guerra a “sfondo politico” e decisero di cancellare l’evento il giorno prima dell’inaugurazione.
Siccome non c’è due senza tre, la mostra sul Kosovo è saltata anche per la terza volta. Infatti il gruppo studentesco Milosao, organizzatore della mostra all’università di Pisa del 2015, non voleva una mostra sul Kosovo ma bensì un progetto più ampio che parte dall’Albania, passa per il Kosovo e arriva fino alla Siria.
Albertina Mustafa, la coordinatrice del progetto, ha visto con i suoi occhi la guerra del Kosovo. Ha fortemente voluto le mie fotografie provenienti da tre diversi teatri di guerra che ripropongono le stesse problematiche a distanza di vent’anni. Si spara per le strade, si bombardano le abitazioni, i civili scappano, si rifugiano nei campi profughi e poi iniziano a migrare verso i paesi ricchi che, nella migliore delle ipotesi, non si sono mossi o, peggio, hanno preso parte attiva alle distruzioni. Non importa che si tratti di Albania, Kosovo o Siria. Le motivazioni sono le stesse, le metodologie identiche, le reazioni scontate e i risultati identici.
Così ho accettato la sfida…
In questo progetto, che ho chiamato “Goodbye sweet home – in fuga dalle guerre d’Albania, Kosovo e Siria”, ho messo a confronto le conseguenze della crisi finanziaria albanese del 1997, della repressione degli albanesi del Kosovo culminata con la guerra del 1998-1999, e della repressione della primavera araba in Siria da parte del regime di Bashar al-Assad, che sta tutt’oggi mettendo a ferro e fuoco il paese.
E’ triste constatare che le ragioni delle migrazioni dei profughi di guerra siano sempre le stesse e che non siamo stati in grado di imparare dalla Storia. I nostri paesi ricchi stanno compiendo gli stessi errori di vent’anni prima nei paesi in crisi di oggi. La nostra analisi dei flussi migratori e delle loro cause parte dalla coscienza della guerra e delle sue conseguenze. Dalle bombe si scappa sempre, specialmente se poi non si ha più una casa dove tornare, un paese dove vivere, un lavoro per sopravvivere. Dalla guerra non escono vincitori. Non c’è un premio da prendere. Le conseguenze della guerra le pagano tutti, anche quelli che sono stati a guardare.
Questo è “Goodbye sweet home – in fuga dalle guerre d’Albania, Kosovo e Siria”, un nuovo “featured project” che è stato esposto per la prima volta alla Gipsoteca di arte antica dell’Università di Pisa il 28 novembre 2015.
Le stampe sono disponibili per la vendita. Inviare una email per conoscere la quotazione.