La scoperta della camera obscura è il secondo capitolo del saggio sull’evoluzione della fotografia e del mezzo fotografico.
Scopriamo la camera obscura e come veniva usata fino al Medioevo. Giotto era fino ad allora il maestro indiscusso per la rappresentazione della realtà. La sua arte era il grado massimo raggiunto dall’umanità fino ad allora.
La scoperta della “camera obscura” (traduzione latina di “camera oscura”, così come venne chiamata in Italia alle soglie del Rinascimento) si riconduce all’alba della civiltà.
Chi scoprì la camera obscura?
Non sappiamo di preciso chi inventò o scoprì la camera obscura. È certo che già i Cinesi, nel V secolo a.C., si interessarono alle proprietà della luce e la studiarono utilizzando proprio questo sistema. I cinesi furono in effetti tra i primi a capire le varie proprietà della luce. Intuirono per primi che la luce viaggia per linee rette e non può fare curve.
Questi studiarono le sue proprietà utilizzando una apposita tenda chiusa che producesse un ambiente buio. Su una parete di questa tenda era praticato un piccolissimo forellino. Piccolo, delle dimensioni di uno spillo, verrà chiamato “stenopeico” nel nostro mondo Europeo (il foro stenopeico, dal greco stenos=stretto, oraos=guardare).
Funzionamento del foro stenopeico
La luce riflessa da un soggetto che si trova sotto la luce del sole, posto al di fuori della tenda e di fronte al foro stenopeico, passa per questo forellino. Si “focalizza” (attitudine della luce di concentrarsi quando passa per un foro piccolissimo). Quindi si proietta contro la parete opposta della tenda riproducendo l’immagine dello stesso soggetto. L’immagine è ribaltata sotto-sopra e invertita destra-sinistra (altra attitudine della luce di invertire la direzione dei propri raggi quando passa per il forellino).
Per poter vedere la proiezione era necessario che la tenda fosse chiusa e senza altre aperture. Era necessario fare il buio dentro, proprio come avviene col cinema oggi. Da qui il termine utilizzato poi in Italia di “camera obscura”.
La capacità della luce di “focalizzarsi”, cioè di mettere a fuoco l’immagine mentre passa per un piccolo foro, sarà alla base di tutti gli sviluppi futuri di questo sistema.
Anche Aristotele, IV sec. a.C., nei suoi Problemata, scrive della Camera Obscura come un aggeggio capace di focalizzare l’immagine. Cioè un grande ambiente, oscurato perfettamente, dove su una delle pareti, quella rivolta all’aperto, veniva praticato un piccolo foro che proiettava sulla parete opposta quello che si vedeva all’esterno.
Questo strumento era molto comune e conosciuto nell’antichità.
Agli inizi del Medioevo Ibn al-Haytham studia astronomia con la camera obscura
Molto più tardi, nel XI sec. d.C., all’inizio del Medioevo, uno studioso arabo di nome Ibn al Haytham (o giù di lì, visto che la lingua araba è non scritta) utilizzò la camera obscura per fare delle scoperte astronomiche. In particolare, egli studiava le eclissi di sole.
La camera obscura era uno strumento fondamentale e necessario per poter “vedere” la luce del sole senza bruciarsi gli occhi. Grazie all’immagine del sole proiettata sulla parete opposta della sua camera obscura, egli poteva osservare l’eclissi senza dover guardare direttamente il sole, quindi al riparo da possibili abbagliamenti.
Giotto e l’arte medievale
Fino al Medioevo la Pittura era la più avanzata forma d’arte. L’arte cercava di rendere l’immagine figurata più vicina possibile alla realtà. La Pittura era la forma d’arte in grado di raggiungere questo risultato.
Giotto fu l’artista più significativo del Medioevo. Egli era eccezionalmente abile col pennello da divenire maestro per tutti gli altri.
La leggenda narra che Cimabue, il suo maestro, gli commissionò un giorno di terminare un dipinto. Giotto lo rifinì con una mosca dipinta sulla tela. Quando Cimabue vide il dipinto non capì subito che si trattava di una mosca finta e cercò di scacciarla.
La mancanza di tridimensionalità è il limite dell’arte medievale
Ma i suoi dipinti mostrano tutti i limiti dell’arte medioevale: la mancanza di tridimensionalità, ovvero dell’apparente profondità data dalla prospettiva.
Gli artisti non avevano idea dei rapporti prospettici degli oggetti nello spazio e i dipinti avevano ancora una apparenza quasi infantile. Giotto era abilissimo nel riprodurre i dettagli come nessun altro aveva mai fatto prima di lui. Ma non aveva idea di come far apparire gli oggetti con il loro preciso rapporto dimensionale nello spazio.
Ci sarebbe voluta la camera oscura, ma ancora lui non la conosceva.
Salve, sono una studentessa di fotografia.
Sono molto interessata al Saggio del professor Pero, specie al capitolo 4 riguardante Da Vinci. Purtroppo quì ho attivi solo i link dei primi due capitoli.
Dove posso reperire l’intero lavoro? Vorrei tanto leggerlo o se possibile acquistarlo.
Grazie per l’attenzione