Fin da quando ho iniziato ad insegnare fotografia il mio primo obiettivo è stato di insegnare agli studenti a pensare differente, cercando di andare oltre i limiti imposti dalla tecnologia e dal mercato. Credo che una scelta libera e consapevole sia migliore di una imposizione e sono altrettanto certo che la libertà di espressione passi dalla semplificazione della tecnica. L’imposizione è quella del mercato fotografico e delle pubblicità delle nuove fotocamere. La semplificazione della tecnica c’era già, agli albori della Fotografia, ma si è persa sempre a causa delle imposizioni dei fabbricanti, specialmente giapponesi (Nikon e Canon in testa) che per vendere nuove attrezzature hanno convinto il mercato della necessità di nuovi strumenti.
Il termine Fotografia deriva dalla combinazione di due parole greche: “phôs”, il cui genitivo è “phòtôs“, che significa “luce“, e “graphìa”, che deriva da “gràphô“, ovvero “io disegno, io dipingo, io rappresento“. Divenire padroni della luce, saperla modellare e riuscire a comunicare con essa è l’essenza di tutta l’arte fotografica. Ma oggi le apparecchiature fotografiche sono diventate molto complesse e, apparentemente, difficili da usare. Divenire padroni del mezzo può sembrare una meta difficile da raggiungere.
Già Henri Cartier-Bresson diceva: “Le scoperte della chimica e dell’ottica [e aggiungerei anche dell’elettronica] allargano il campo d’azione, sta a noi poi applicarle alla nostra tecnica per migliorarla. Ma si è sviluppato un vero e proprio feticismo in fatto di tecnica fotografica, che deve essere creata e adattata unicamente per realizzare una visione; è importante nella misura in cui dobbiamo impadronircene per rendere ciò che vediamo. E’ il risultato che conta…”.
In altri termini: quanti, dei bottoni presenti sulle nostre costose macchine fotografiche, sono indispensabili davvero? E quante delle centinaia di funzioni presenti? Se per scattare una fotografia devo tenere sotto controllo cinquanta parametri simultaneamente, riesco davvero a concentrarmi sul risultato “che conta”?
Dagli anni Sessanta a questa parte l’industria fotografica è riuscita a convincere i consumatori che la tecnica fotografica è così difficile da comprendere che è molto meglio affidarsi alla tecnologia. Questo permette alle case costruttrici di vendere grandi quantità di attrezzature, sempre più complesse, sempre più raramente utili. Eppure, fin dall’invenzione della Fotografia, Louis Daguerre e William Henry Fox-Talbot hanno usato mezzi cui oggi non penseremmo nemmeno di affidarci per creare immagini. Dopo di loro una moltitudine di altri fotografi, seguendo i loro primi passi, hanno migliorato l’Arte della Fotografia usando mezzi molto semplici, come Alfred Stieglitz, Edward Weston, Ansel Adams, Robert Doisneau, Robert Capa, e lo stesso Henri Cartier-Bresson. E’ curioso pensare che questi, assieme ad altri giganti della Storia della Fotografia, avevano a disposizione mezzi di un livello tecnico risibile se comparati con quelli odierni.
“E’ sufficiente trovarsi bene con l’apparecchio più adatto a quello che vogliamo fare. Le regolazioni, il diaframma, i tempi, ecc…, devono diventare un riflesso, come cambiare marcia in automobile e non c’è molto da commentare su queste operazioni, anche su quelle più complicate: sono enunciate con precisione militare nel manuale d’istruzioni fornito dai vari fabbricanti con l’apparecchio e la custodia in pelle.” – Henri Cartier-Bresson
“… l’apparecchio più adatto a quello che vogliamo fare…” – HCB
Vi hanno mai proposto una fotocamera diversa da 35 mm reflex con mirino ad altezza occhio? La maggior parte delle varie migliaia di studenti che ho avuto nella mia esperienza di insegnante di fotografia, cioè un buon 95% di loro, si sono presentati all’inizio dei corsi con quella che credevano fosse LA FOTOCAMERA per antonomasia: una reflex 35 mm. Quasi nessuno di loro era a conoscenza dei sistemi galileiano, a traguardo, a visione diretta o a pozzetto. Io li ho scoperti grazie al fotografo che mi insegnò a fotografare quando ero adolescente, ma nessun negoziante me li propose mai, né allora né poi. Eppure c’è differenza fra inquadrare tenendo la macchina ad altezza d’occhio o alla cintura, così come c’è differenza di scopo fra un sistema reflex e uno galileiano. Ci sono pro e contro che devono essere analizzati, perché alcuni di noi troveranno migliori certe qualità di una fotocamera, altri l’esatto opposto.
“…Le regolazioni, il diaframma, i tempi, ecc… sono enunciate con precisione militare nel manuale d’istruzioni…” – HCB
Enunciate con precisione militare, cioè regole da apprendere a memoria e con cui allenarsi tutti i giorni, come fosse un allenamento sportivo, finché diventino un riflesso condizionato. Come è l’atto del camminare o del salire le scale: camminiamo, saliamo le scale, ma non pensiamo a quale piede far partire per primo. Lo facciamo e basta.
Queste sono le regole dell’esposizione, enunciate dalla Regola del 16. Gli strumenti per usarla sono i Tempi e i Diaframmi.
La Regola del 16 è stata usata da tutti i fotografi fino ad almeno gli anni sessanta, quando i giapponesi di Nikon cominciarono ad invadere l’Europa con le Nikon F Photomic, ovvero con un esposimetro incorporato nella macchina. Da allora, l’industria fotografica ha impiegato massicci sforzi finanziari per campagne pubblicitarie che inducessero il fotografo ad affidarsi a quei sistemi invece che alle proprie conoscenze. Vent’anni dopo, negli anni ’80, non c’era già più nessuno (o quasi) in grado di scattare una foto senza affidarsi ad un esposimetro. L’esposimetro era diventato il Re della fotografia: senza di esso l’esposizione sarebbe rimasta un mistero indissolvibile. Ma un esposimetro, per quanto utilissimo in certi casi specifici della Fotografia, non è in grado di discernere la qualità della luce, ma solo la sua quantità.
Con la perdita della conoscenza della Regola del 16 e con l’abuso dell’esposimetro, si era persa la capacità di comprendere la qualità della luce, dura o morbida, laterale, frontale, controluce, diffusa, diretta, ecc… che è la cosa più importante in una fotografia. La qualità della luce è invece alla base della Regola del 16. Credo che chiunque voglia definirsi fotografo deve essere in grado di usare anche il mezzo più economico senza dover ricorrere necessariamente alla tecnologia per riempire le proprie mancanze.
Il mezzo fotografico deve essere semplice, comprensibile e adatto a svolgere la sua funzione di “mezzo” per raggiungere uno scopo. La tecnica deve essere appresa “con precisione militare” e gli artifici tecnologici lasciati al mercato, affinché ci si possa concentrare sul “risultato che conta” (HCB). E qui si ritorna all’inizio del problema, cioè al fotografo che vuol tornare ad essere padrone di questa arte. Come fare? Suggerisco quello che ho insegnato per oltre quindici anni: scegliere il mezzo fotografico e imparare la Regola del 16.
Nei prossimi articoli di questa categoria “Fotoscuola” del blog cercherò di presentare i sistemi di ripresa disponibili (fotocamere) e la Regola del 16, proponendo una alternativa per aiutare tutti quelli che vogliono iniziare a pensare differente.
Buona luce a tutti.